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ORO
L’oro è l’elemento chimico di numero atomico 79. Il suo simbolo è Au (dal latino “aurum”).
È un metallo di transizione tenero, pesante, duttile, malleabile di colore giallo, dovuto all’assorbimento delle lunghezze d’onda del blu dalla luce incidente.
Inattaccabile dalla maggior parte dei composti chimici, reagisce in pratica solo con l’acqua regia e con lo ione cianuro. Con ilmercurio forma un amalgama, ma non un composto chimico.
Si trova allo stato nativo sotto forma di pepite, grani e pagliuzze nelle rocce e nei depositi alluvionali.
Viene usato per coniare monete, ed è uno standard monetario per molte nazioni. Si usa inoltre in odontoiatria, gioielleria e nell’industria elettronica. Il suo codice ISO come valuta è XAU.
L’oro è divenuto nel tempo il simbolo di purezza, valore e lealtà.
Caratteristiche
L’oro è un metallo di colore giallo, che può assumere anche una colorazione diversa a seconda delle sue leghe: rossa, violetta e nera quando è finemente suddiviso o in soluzione colloidale, mentre appare verde se ridotto a una lamina finissima. È il metallo noto più duttile e malleabile; un grammo d’oro può essere battuto in una lamina la cui area è un metro quadrato. È un metallo tenero e per questo viene lavorato in lega con altri metalli per conferirgli una maggiore resistenza meccanica.
L’oro non viene intaccato né dall’aria né dalla maggior parte dei reagenti chimici. Da sempre la sua elevata inerzia chimica ne ha fatto un materiale ideale per il conio di monete e per la produzione di ornamenti e gioielli. Non si altera con l’ossigeno, l’umidità, il calore, gli acidi e gli alcali caustici, invece può essere ossidato con acqua regia o con soluzioni acquose contenenti lo ione cianuro in presenza di ossigeno o perossido di idrogeno. A contatto con il mercurio si scioglie e forma amalgami.
Si trova allo stato nativo, spesso accompagnato da una frazione di argento (compresa tra l’8% e il 10%), sotto forma di electron (oro e argento naturale). Al crescere del tenore di argento, il colore del metallo diviene più bianco e la sua densità diminuisce.
L’oro si lega con molti altri metalli: le leghe col rame sono rossastre, con il ferro verdi, con l’alluminio violacee, col platino bianche, col bismuto e l’argento nerastre.
Gli stati di ossidazione più frequenti che l’oro assume nei suoi composti sono +1 (sali aurosi) e +3 (sali aurici). Gli ioni dell’oro vengono facilmente ridotti e precipitati come oro metallico per addizione di praticamente qualsiasi altro metallo. Il metallo aggiunto si ossida e si scioglie facendo precipitare l’oro metallico.
È un eccellente conduttore di elettricità, il migliore tra i metalli dopo l’argento e il rame ma, a differenza di questi ultimi, è poco suscettibile ai fenomeni di ossidazione, perciò viene utilizzato per contatti o conduttori di dimensioni microscopiche (in ragione della sua malleabilità).
Abbondanza e disponibilità
Per via della sua elevata inerzia chimica, l’oro si trova principalmente allo stato nativo o legato ad altri metalli. Spesso si presenta in forma di granelli e pagliuzze, tuttavia a volte si trovano anche agglomerati piuttosto grossi, detti pepite. I granelli appaiono inclusi in minerali o sulle superfici di separazione tra cristalli di minerali.
L’oro si trova associato al quarzo, spesso in filoni, e ai solfuri minerali. I solfuri cui si associa più spesso sono la pirite, la calcopirite, lagalena, la sfalerite, l’arsenopirite, la stibnite e la pirrotite. Meno frequentemente è associato a petzite, calaverite, silvanite, muthmannite,nagyágite e krennerite.
L’oro è distribuito ampiamente in tutta la crosta terrestre, con una concentrazione media di 0,03 ppm (0,03 grammi per tonnellata). Giacimenti di minerali d’oro si trovano nelle rocce metamorfiche e nelle rocce ignee, da cui si formano per dilavamento i giacimenti di oro alluvionale. In quest’ultimo caso è possibile l’estrazione con procedimenti che non impiegano agenti chimici, come il cianuro o il mercurio, e che consentono l’uso della definizione di oro etico.
Le principali fonti dell’oro sono le rocce ignee ed i depositi alluvionali. Un giacimento generalmente necessita di qualche processo di arricchimento per poter diventare sfruttabile: un processo chimico o fisico (quali l’erosione o lo scioglimento) o un più generale metamorfismo, con cui si concentra l’oro disperso nei solfuri o nel quarzo.
I più comuni giacimenti primari sono detti “filoni” o “vene”. I giacimenti primari vengono erosi e dilavati dalle intemperie; l’oro viene trascinato a valle formando depositi alluvionali. Un altro tipo di giacimento è associato a scisti e rocce calcareesedimentarie, che contengono tracce d’oro e di altri metalli del gruppo del platino, finemente disperse.
Nell’acqua marina, l’oro è presente in concentrazioni variabili tra 0,1 e 2 milligrammi per tonnellata (0,1÷2 ppb), per un totale stimabile in 270.000.000 tonnellate, contro le circa 50.000 tonnellate che si ritiene contenga ancora la crosta terrestre.[senza fonte] La bassissima concentrazione rende per il momento antieconomica l’estrazione dall’acqua.
Nel 2001, si calcola che ci fosse in circolazione una quantità totale di oro pari a 140.000 tonnellate,[senza fonte] una quantità che può essere rappresentata, in volume, come un cubo di lato pari a circa 20 metri.
Estrazione
Estrazione mondiale di oro, dal 1900.
L’estrazione dell’oro dai suoi minerali diventa economicamente conveniente quando la concentrazione del metallo è superiore a 0,5 ppm (0,5 grammi per tonnellata); nelle grandi miniere a cielo aperto la concentrazione tipica è compresa tra 1 e 5 ppm; per i minerali scavati in miniere sotterranee, la concentrazione media è circa 3 ppm. Per essere visibile a occhio nudo in un suo minerale l’oro deve avere una concentrazione di circa 30 ppm; questo spiega perché perfino nelle miniere d’oro è poco frequente vederlo.
L’oro è estratto dai depositi alluvionali per dilavamento, e dai minerali rocciosi per metallurgia estrattiva. Spesso la raffinazione del metallo si accompagna alla clorurazione o all’elettrolisi.
Sin dal 1880 il Sudafrica è stato la fonte di circa due terzi dell’oro estratto nel mondo. La città di Johannesburg è stata costruita alla sommità di uno dei più grandi giacimenti del mondo. I giacimenti negli stati sudafricani dell’Orange e del Transvaal sono invece tra le miniere più profonde del mondo. La guerra Boera del 1899-1901 tra i boeri e i britannici fu in parte dovuta ai diritti di sfruttamento e ai contenziosi aperti sulle proprietà delle miniere sudafricane.
Tuttavia, a partire dal 2007, la posizione di predominio del Sudafrica è stata superata dalla Cina, la cui produzione nel 2008 è giunta fino a 260 tonnellate di oro, con un incremento del 59% a partire dal 2001.[8]
Tra gli altri maggiori produttori figurano gli Stati Uniti (principalmente nel Dakota del Sud e in Nevada) l’Australia (principalmente nello stato dell’Australia Occidentale), il Perù e laRussia[8][9].
In Italia, l’oro, in piccole quantità, si trova nei fiumi, quali il Po e il Ticino. Nelle viscere del Monte Rosa si trova un giacimento superiore a quelli attualmente più produttivi (presenti inSudafrica). Tuttavia, a causa di problemi ambientali, di sicurezza e di costi, tale oro non è attualmente sfruttato. Tale giacimento fu invece attivamente coltivato fin da epoche antiche (con estrazione di oro da pirite e arsenopirite aurifera) scavando progressivamente oltre 60 km di miniere in galleria (secondo alcune fonti oltre 80 km) in Piemonte aMacugnaga, in Valle Anzasca. Tra queste la miniera d’oro della Guia nella frazione Borca, oggi accessibile a visite guidate. L’ultima miniera attiva di Macugnaga, nella frazione Pestarena (in attività probabilmente dall’epoca romana), fu chiusa nel 1961 a seguito di un incidente. Anche in Valsesia fu estratto l’oro del Monte Rosa. Altri piccoli giacimenti sono stati quelli in Val d’Aosta (Arbaz, Challand-Saint-Anselme) e l’ultimo giacimento di oro oggetto di coltivazione in Italia fu quello di Furtei nella provincia del Medio Campidano, chiuso nel 2008. Prospezioni di tipo geofisico hanno dimostrato che l’oro è abbastanza frequente, in bassissime concentrazioni, in varie zone della Toscana, della Sardegna e di altre regioni.
L’Italia è un modesto produttore di oro. In compenso, dal 1998, è stata il maggiore trasformatore di oro al mondo, con una media di 450-500 tonnellate lavorate ogni anno.
Estrazione mondiale dell’oro dal 1900.
Leghe di oro
Diagramma di fase ternario rappresentativo delle colorazioni assunte dalle leghe Ag-Au-Cu. Le scale numeriche scritte ai lati del triangolo si riferiscono alla frazione massica di oro, argento e rame.
L’oro da gioielleria, cioè quello legato a uno o più metalli per aumentarne la rigidità, ha colorazione bianca o rossa, a seconda del tipo di lega (con argento o rame).
Diagramma di Fase Ternario.
• L’oro verde è composto al 75% d’oro, al 12,5% d’argento e al 12,5% di rame.
• L’oro giallo è composto al 75% d’oro, al 12-7% d’argento e al 13-18% da rame.
• L’oro rosa è normalmente composto dal 75% d’oro, al 6,5-5% d’argento e al 18,5-20% da rame.
• L’oro rosso è composto al 75% d’oro, al 4,5% d’argento e al 20,5% di rame.[10]
• L’oro blu è una lega di oro e di ferro. Un trattamento termico ossida gli atomi di ferro sulla superficie dell’oro, e gli dona la colorazione azzurra.
• L’oro bianco da gioielleria è composto al 75% da oro, e al 25% da nichel, argento o palladio.
Bisogna notare che il termine “oro bianco” è spesso utilizzato per designare l’oro grigio in bigiotteria. Con la rodiatura, l’oro bianco è ricoperto da un fine strato di rodio, che sparisce per usura, con il tempo, ridando un colore giallo all’oro. È una lega inventata dopo la prima guerra mondiale.
Per la doratura tramite fogli sottili di oro, la lega deve essere il più possibile duttile e malleabile.
• L’oro giallo da doratura è composto dal 98,0% d’oro, dall’1,0% d’argento e dall’1,0% da rame. Può anche essere puro.
• L’oro rosso da doratura è composto dal 94,5% d’oro e dal 5,5% di rame.
• L’oro ½ giallo da doratura è composto dal 91,5% d’oro, dal 6,0% d’argento e dal 2,5% di rame.
• L’oro limone da doratura è composto dal 94,5% d’oro e dal 5,5% d’argento.
• L’oro grigio da doratura è composto dal 75,5% d’oro, 14,5% di palladio e dal 10,0% d’argento
• L’oro bianco francese da doratura ha composizione 20,0% oro e 80,0% argento, altrove in Europa 50,0% oro e 50,0% argento.
Tuttavia ogni gioielliere e battitore d’oro ha le sue leghe, che si scostano leggermente dai valori standard.
La tabella seguente presenta dei valori tipici di concentrazione in peso.
I lingotti d’oro talvolta sono oggetto di falsificazione aggiungendo rame alla lega e quindi abbassandone il titolo oppure producendo lingotti totalmente falsi composti da tungsteno ricoperto di un sottile strato d’oro, il tungsteno è un materiale con rapporto peso/volume simile e non distinguibile dall’oro e dal costo nettamente inferiore (circa 20 $ al kg).
Composti e isotopi
Soluzione acquosa concentrata di cloruro aurico.
Benché sia considerato un metallo nobile,[14] perché resistente a molti agenti corrosivi e relativamente inerte dal punto di vista chimico, l’oro può formare diversi composti. Il cloruro aurico (AuCl3) e l’acido cloroaurico (HAuCl4) sono i più comuni tra essi.
Il numero di ossidazione dell’oro nei suoi composti può essere +1 (composti di oro (I)) o +3 (composti di oro (III)). In condizioni drastiche e con reattivi energici, l’oro può anche assumere numero di ossidazione +5 (il pentafluoruro di oro (V) AuF5) e l’insolito (per un metallo) -1. Questi ultimi composti, che contengono l’anione Au- sono detti aururi; sono noti l’aururo di cesio, CsAu, di rubidio, RbAu, e ditetrametilammonio (CH3)4N+Au-.
Altri composti dell’oro noti sono:
• gli alogenuri d’oro (fluoruri, cloruri, bromuri e ioduri)
• i calcogenuri d’oro (ossidi, solfuri, selenuri, tellururi)
• l’idrazide aurosa, AuN2H4, una polvere esplosiva color verde scuro, nota nell’antichità come aurum fulminans.
Gli atomi di oro possono aggregarsi in cluster.
Presente in natura in ben 30 isotopi (da 175Au a 204Au), solo 197Au è stabile. Gli altri sono tutti radioattivi e il più stabile di essi è 195Au, la cui emivita è di 186 giorni.
Applicazioni
L’oro puro è troppo tenero, quindi non può essere lavorato normalmente; viene indurito legandolo ad altri metalli, in genere rame e argento. L’oro e le sue leghe sono usati in gioielleria, nel coniare monete e sono uno standard di cambio valutario per molte nazioni. Grazie alla sua resistenza alla corrosione e alle sue notevoli proprietà elettriche, ha trovato sempre più spazio in applicazioni industriali. Sono in corso studi sull’utilizzo dell’oro come catalizzatore; infatti l’oro in forma di nano-particelle disperse su adeguati supporti mostra grande attività catalitica.[15][16][17]
I catalizzatori supportati a base di oro ricoprono un ruolo fondamentale in diverse reazioni, tra cui:
• ossidazione di monossido di carbonio (CO);[18]
• ossidazione completa di idrocarburi;
• ossidazioni selettive;
• reazioni di water-gas shift.
L’attività di questi catalizzatori dipende notevolmente dal metodo di preparazione e dal tipo di supporto utilizzato.
Tra gli altri usi:
• nella componentistica elettronica:
• svolge funzioni critiche in molti computer, apparecchi per telecomunicazioni, motori jet e numerose applicazioni industriali;
• trova ampio uso come materiale di rivestimento delle superfici di contatti elettrici, per garantirne la resistenza alla corrosione nel tempo;
• in ambito astronautico:
• l’oro è usato come rivestimento protettivo di molti satelliti artificiali, data la sua capacità di riflettere la luce visibile e l’infrarossa;
• a scopo medico e diagnostico:
• l’oro colloidale viene utilizzato in un particolare tipo di elettroforesi, una metodica di diagnostica medica.
• realizzazione di otturazioni e ponti in odontoiatria;
• in sospensione colloidale, trova impiego nella pittura delle ceramiche ed è oggetto di studio per applicazioni biologiche e mediche;
• l’aurotiomaleato di disodio è un farmaco per la cura dell’artrite reumatoide;
• l’isotopo radioattivo 198Au (emivita: 2,7 giorni) è usato in alcune terapie anti-tumorali;
• nelle indagini a microscopio:
• l’oro è usato per rivestire campioni biologici da osservare sotto un microscopio elettronico a scansione;
• in ambito fotografico:
• l’acido cloroaurico trova uso in fotografia per far virare l’immagine prodotta dai sali d’argento;
• a scopo ornamentale:
• l’oro può essere tirato in fili e inserito in tessuti ed ornamenti;
• l’oro bianco – una lega con platino, palladio, nichel o zinco – funge da sostituivo del platino in alcune applicazioni e in gioielleria; – inoltre tale lega ha un basso coefficiente di dilatazione termica;
• l’oro verde (in lega con l’argento) e l’oro rosso (in lega col rame) sono usati in gioielleria;
• nelle premiazioni:
• una medaglia d’oro è assegnata al vincitore di moltissime competizioni, tra cui le Olimpiadi e il Premio Nobel;
• nella cucina:
• l’oro metallico è usato a scopo decorativo (solitamente in sottilissime lamine) in alcune ricette di alta cucina; non avendo praticamente alcuna reattività non altera i sapori.
Precauzioni
Il corpo umano non assorbe l’oro in quantità rilevanti, per cui i suoi composti non sono normalmente considerati molto tossici. Sono stati tuttavia riscontrati danni al fegato e ai reni di malati di artrite curati con farmaci a base di oro (sali d’oro).
L’oro è ampiamente usato in Odontoiatria e in odontotecnica per la realizzazione di: ponti, corone, cappe radicolari, scheletrati per protesi amovo-rimovibili, per ricostruzioni parziali della parte occlusale del dente (intarsi OMD; Inlay ed Onlay). Era considerato uno dei materiali per otturazione più sicuri. L’intarsio in oro veniva confezionato in laboratorio e successivamente posizionato, dall’odontoiatra, nella cavità del dente, specificatamente, per otturazioni molto estese grazie alla sua malleabilità, duttilità ed elasticità; garantiva una lunga durata rispetto all’amalgama, utilizzata solo per otturazioni poco estese. Negli ultimi decenni l’oro e l’amalgama sono stati sostituiti da compositi fotopolimerizzanti sia per un fattore estetico, sia per resistenza all’abrasione (paragonabile a quella del dente naturale). L’oro nel cavo orale può assumere delle colorazioni grigio-scuro per la presenza di altre leghe metalliche, stellite, leghe nichel-cromo, leghe al palladio, amalgama. Tale fenomeno viene definito “bimetallismo”; generato per elettrolisi. Nel merito non si riscontrano intollerabilità, riconducibile all’oro, da parte del paziente: è la combinazione di più leghe a determinare quanto detto.
L’utilizzo di oro come agente terapeutico (“crisoterapia”[19]) per la cura dell’artrite reumatoide[20] può causare dei segni e sintomi specifici, chiamati crisiasi. Tra gli effetti di rilievo derivati dall’assunzione di composti farmaceutici a base d’oro sono da annoverare i segni dermatologici, in particolare un colorito grigio-bluastro della cute, più accentuato nelle zone esposte al sole e nell’area periorbitaria;[21][22][23] a volte l’oro può accumularsi selettivamente nelle unghie, dando un colore giallo alle stesse.[24]
Le aree cutanee delle persone che hanno assunto oro, esposte a Q-switched laser manifestano un colorito grigio-bluastro.[25]
L’oro, come altri metalli (es. rame nella Malattia di Wilson), può andare in accumulo in strutture oculari, visibile con una lampada a fessura.[26]
Interessante notare che, dopo somministrazione per via iniettiva di oro radioattivo, questo tende ad accumularsi nella zona pettorale.[27]
Valore commerciale
Come gli altri metalli preziosi, l’oro viene quotato al grammo o all’oncia troy.[28] Quando è in lega con altri metalli, si misura la sua purezza. L’unità è chiamata carati: 24 carati è l’oro puro. Un altro modo di indicarne la purezza è una grandezza di valore compreso tra zero e uno, con tre cifre decimali, o una frazione in millesimi (18 carati ≡ 18⁄24 ≡ 0,750 ≡ 750⁄1000 ≡ 75%).[29] L’oro utilizzato in gioielleria ha una purezza non superiore a 18k, in quanto una proporzione maggiore ne renderebbe impossibile la lavorazione. Per questo motivo il valore dell’oggetto deve essere stimato tenendo conto del metallo con cui l’oro è legato. Un gioiello con 14k d’oro e 8k di platino è più prezioso di uno a 18k d’oro e 6k di rame.
Andamento del prezzo dell’oro tra il 1968 e il 2008.
Il prezzo dell’oro è fissato dai mercati; tuttavia, dal 1919, la Borsa di Londra stabilisce due volte al giorno un prezzo di riferimento (il cosiddetto fixing dell’oro). I cinque mercanti più rilevanti del mondo per lo scambio di oro fisico (in inglese “the Club of Five”[30]) sono: Johnson Matthey, Mocatta & Goldsmith, Samuel Montagu, Rothschild e Sharps Pixley.[31][32]
Storicamente l’oro è stato impiegato per supportare le valute in un sistema economico basato sul gold standard, in cui il valore di ogni valuta è stabilito equivalente a una certa quantità di oro. Come parte di questo sistema, i governi e le banche centrali tentarono di controllare il prezzo dell’oro, fissandone le parità con le valute. Per un lungo periodo (dal 1789 al 1933) gli Stati Uniti fissarono il prezzo dell’oro a 20,67 dollari/oncia (pari a 0,66456 $/g) – salvo lievi oscillazioni in tempo di guerra – che poi elevarono a 35 dollari/oncia (pari a 1,12527 $/g) nel 1934. Nel 1961 mantenere questo prezzo era diventato arduo; le banche centrali degli Stati Uniti d’America e dell’Europa iniziarono a coordinare le loro azioni per mantenere il prezzo stabile contro le forze di mercato.
Il 17 marzo 1968 le circostanze economiche causarono il fallimento di questi sforzi congiunti; venne introdotto un doppio regime, che fissava il prezzo dell’oro a 35 dollari/oncia per le transazioni valutarie internazionali, lasciandolo però libero di fluttuare per quanto concerneva gli scambi tra privati. Questo doppio regime fu abbandonato nel 1971, quando il prezzo dell’oro fu lasciato libero di variare in accordo alle leggi di mercato. Le banche centrali possiedono ancora oggi riserve auree a garanzia del valore delle proprie valute, anche se il volume globale di queste riserve è andato via via calando (causa la progressiva coniazione di moneta in assenza di controvalore aureo o di qualunque altro metallo).
Dal 1968 il prezzo dell’oro sui mercati ha subito ampie oscillazioni, con un record di oltre 1900 dollari/oncia (oltre 60 $/g) nell’agosto 2011[33], ed un minimo di 252,90 dollari/oncia (8,131 $/g) il 21 giugno 1999 (fixing di Londra). Il prezzo è salito a 420 $/oncia (13,503 $/g) nel 2004 a causa della svalutazione del dollaro statunitense; il prezzo dell’oro in altre valute (ad esempio l’euro) ha subito nello stesso periodo un aumento inferiore, comunque consistente, al 10% dalla quota di 330 euro/oncia (10,6 €/g).
L’oro costituisce a volte parte di un investimento finanziario difensivo (bene rifugio per la tutela del capitale), data la stabilità a lungo termine del suo valore commerciale e la sua sostanziale scorrelazione rispetto all’andamento del mercato azionario ed obbligazionario; per questa sua stabilità, la speculazione sull’oro diventa particolarmente appetibile quando viene meno la fiducia in una valuta e quando il valore di una valuta è soggetto ad iperinflazione. Il prezzo dell’oro è anche alla base difutures con cui si specula sul suo ipotizzato valore futuro. Dall’elezione di Bush a presidente degli Stati Uniti d’America il prezzo di un’oncia è salito da 200 dollari a 540 dollari. Il valore dell’oro è fortemente influenzato dall’offerta, per cui la sua estrazione è ponderata attentamente: incrementarne la produzione potrebbe significare farne crollare il prezzo.
Il prezzo massimo raggiunto dall’oro, tenuto conto dell’inflazione, può essere considerato quello raggiunto il 21 gennaio 1980 (circa 850 dollari/oncia), corrispondenti a quasi 2.000 dollari/oncia col potere d’acquisto del 2008.
Possesso di oro
Per via del suo uso come riserva valutaria, a volte, nella storia, il possesso privato dell’oro è stato regolamentato o bandito.
Ad esempio:
• Negli Stati Uniti il possesso privato di oro, eccezion fatta per la gioielleria e il collezionismo numismatico, fu illegale dal 1933 al 1975.
• In Italia, Grecia e Spagna, unici tra i Paesi Europei, il possesso di oro era consentito solo agli istituti bancari.
• In Italia, poteva essere detenuto solo oro lavorato, monete auree o lingottini semilavorati con peso massimo di 100 grammi. Con il Decreto n. 7 del 2000, in recepimento dellaDirettiva 98/80/CE, è stato aperto in tutta Europa (anche ai privati) il possesso di oro fino.[34]
[fonte: Wikipedia]
ARGENTO
L’argento è l’elemento chimico nella tavola periodica che ha simbolo Ag (dall’abbreviazione del latino Argentum) e numero atomico 47. È un metallo di transizione tenero, bianco e lucido; l’argento è il migliore conduttore di calore ed elettricità fra tutti i metalli, e si trova in natura sia puro che sotto forma di minerale. Si usa nella monetazione, in fotografia e in gioielleria, in cui è protagonista di un’intera branca, l’argenteria, che riguarda coppe, cuccume, vassoi, cornici e posate da tavola.
Caratteristiche
L’argento è un metallo molto duttile e malleabile, appena più duro dell’oro, con una lucentezza metallica bianca che viene accentuata dalla lucidatura. Ha la maggiore conducibilità elettrica tra tutti i metalli, superiore persino a quella del rame che però ha maggiore diffusione per via del minore costo.
L’argento puro, tra i metalli, ha anche la più alta conducibilità termica, il colore più bianco, la maggiore riflettanza della luce visibile (povera invece nel caso della luce ultravioletta) e la minore resistenza all’urto. Gli alogenuri d’argento sono fotosensibili e l’effetto prodotto su di essi dalla luce è alla base della fotografia analogica (cioè su pellicola e carta chimica).
L’argento è stabile nell’aria pura e nell’acqua pura, ma scurisce quando è esposto all’ozono, all’acido solfidrico o all’aria contenente tracce di composti dello zolfo.
Nei suoi composti l’argento ha numero di ossidazione +1.
Applicazioni
L’argento trova principalmente impiego come metallo prezioso ed i suoi alogenuri, in special modo il cloruro d’argento, sono impiegati in fotografia – che ne è l’utilizzo principale in termini di quantità.
Altri possibili utilizzi sono:
Per produrre contatti ad elevata conduttività in manufatti elettrici ed elettronici, ad esempio i contatti elettrici delle tastiere.
Per preparare le emulsioni fotografiche, per le quali vengono usati gli alogenuri d’argento: ioduro, bromuro e cloruro.
Per produrre specchi con una maggiore riflettanza; gli specchi comuni sono fatti con l’alluminio.
La produzione di monete d’argento risale al 700 a.C.; le parole “argento” e “denaro” sono identiche o molto simili in almeno 14 lingue.
Per il suo splendore viene usato per produrre articoli di gioielleria e set di posate e articoli da tavola (l’argenteria), prodotti tradizionalmente con l’argento sterling, una lega che contiene il 92,5% di argento.
Per la sua malleabilità e la sua non tossicità si usa in lega con altri metalli in odontoiatria.
Per le sue proprietà catalitiche, trova uso come catalizzatore in molte reazioni di ossidazione, ad esempio nella produzione di formaldeide dal metanolo.
Nella produzione di batterie a lunga durata argento-zinco e argento-cadmio.
Il fulminato d’argento è un esplosivo.
Il cloruro d’argento può essere reso trasparente e venire impiegato come cemento per il vetro.
Lo ioduro d’argento è usato per seminare le nubi per produrre la pioggia.
L’argento è anche un additivo alimentare (E 174), usato come colorante in particolare per caramelle e confetti rivestiti di zucchero, per ottenere un colore metallico.
Sono in commercio pastiglie agli ioni d’argento, utilizzate, ad esempio, per la disinfezione dell’acqua in campeggio.
L’argento è noto fin dall’antichità. Il termine deriva dal latino argentum e dal greco αργύριον, legati ad αργός “splendente, candido, bianco”. È menzionato già in testi cuneiformi del III millennio, nel libro della Genesi, e l’analisi di resti nei siti archeologici dell’Asia minore, delle isole dell’Egeo, e del Vicino Oriente, indica che l’argento già nel IV millennio a.C. veniva separato dal piombo, e che erano note le tecniche di cesello, sbalzo e agemina rimaste sino all’età moderna.[1] Per millenni l’argento è stato usato come ornamento e come materiale per utensili, come merce di scambio e come base per molti sistemi monetari. È stato a lungo considerato il secondo metallo più prezioso, dopo l’oro. Nel Buddhismo è il secondo dei sette tesori, e simboleggia la virtù.
Il simbolo della luna crescente, associato all’argento.
In molte teologie e cosmogonie, l’argento è associato alla luna e a divinità lunari e femminili. Benché chimicamente i due elementi non siano correlati, nell’antichità il mercurio veniva considerato come una specie particolare di argento – da cui il nome tradizionale di argento vivo ed il suo nome latino hydrargyrium (argento liquido). In araldica il colore argento ricorre in molti stemmi e blasoni; a volte viene rappresentato con il colore bianco.
Produzione mondiale di argento a partire dal 1900
Il valore dell’argento subì un brusco calo quando la scoperta di giacimenti in America Latina, tra cui le miniere di Zacatecas e Potosì, portò ad un’inflazione del metallo. L’argento dà il nome ad una nazione, l’Argentina, ed al suo principale fiume, il Rio de la Plata – dal suo nome spagnolo, plata. Nel corso del secolo diciannovesimo l’argento iniziò ad essere demonetizzato mentre l’oro seguirà il medesimo destino nel secolo successivo. Mentre l’oro resta però in parte nei forzieri delle banche centrali l’argento fu man mano completamente liquidato. Questa immensa quantità d’argento “liberata” dalle funzioni monetarie ha causato fino a tempi recentissimi una grande disponibilità di metallo, nonostante la produzione mineraria fosse di gran lunga inferiore ai consumi. La quantità di argento disponibile sulla crosta terrestre è di ppm (g/ton) 0,0800, superiore di 20 volte dell’oro che è ppm (g/ton) 0,0040, e del platino che è ppm (g/ton) 0,0100; la potenzialità di estrazione dalle miniere per l’argento è di circa 547 milioni di once troy all’anno, contro 82 milioni di once troy dell’oro e 5 milioni di once troy del platino. Per questi motivi e anche per i costi di estrazione enormemente superiori per l’oro, l’argento ha e avrà sempre un valore nettamente inferiore rispetto ad altri metalli preziosi. Da valutare per un investimento il rapporto oro/argento: dal 1344 fino verso al 1830 ha sempre avuto un rapporto quasi fisso di circa 1 a 16, verso fine Ottocento ha cominciato ad alzarsi per toccare un record di 1/153 nel 1939, poi ridiscendere a 1/28 nel 1971 e risalire a 1/110 nel 1992, nel 2008 il rapporto (molto volatile) si sta mantenendo nell’intervallo fra i 1/46 e 1/93. Calcolando l’inflazione e ragionando in termini odierni (2008) l’argento ha avuto il suo valore massimo nel 1477 con un prezzo di 1.040 dollari all’oncia troy, poi è iniziata la discesa che ha portato il prezzo ai minimi nel 1993 a 3,53 dollari per oncia troy. Dal 2004 il prezzo dell’argento ha ripreso a salire arrivando a superare i 29 dollari l’oncia alla fine del 2010. In ogni caso chi avesse investito in argento nel 1477 si troverebbe ai giorni nostri con una perdita reale superiore al 90%; ciò nonostante l’argento è considerato un bene rifugio. Infatti ben peggio han fatto le varie banconote cartacee il cui valore si è annientato; inoltre la svalutazione dell’argento nei secoli è avvenuta in modo lento e graduale e non improvvisamente come per la carta-moneta, i cui possessori caddero nella miseria.
L’argento, si trova in natura sia allo stato nativo che combinato in composti con lo zolfo, l’arsenico, l’antimonio o il cloro in svariati minerali (ad esempio, l’argentite, Ag2S, o l’argentopirite, AgFe2S3).
Giacimenti d’argento si trovano in Canada, Australia e negli Stati Uniti ma la massima produzione negli ultimi due secoli si è avuta in Messico dalla miniera di Guanajuato Il Perù è oggi il principale produttore d’argento al mondo, con 111,6 milioni di once d’argento prodotte nel 2006 [senza fonte] Ad Aspen, nel Colorado, è stato estratto un blocco di 380 kg, e vanno segnalati anche, per la loro bellezza, i cristalli di Kongsberg, in Norvegia.
In Italia è presente in Sardegna in vari giacimenti del Sarrabus
Oltre che dai minerali, l’argento si ottiene anche dalla raffinazione elettrolitica del rame.
L’argento di grado commerciale è puro al 99,9%, sono disponibili gradi di purezza fino al 99,999%.
L’argento che si trova in natura si compone di due isotopi stabili: 107Ag e 109Ag, di cui il primo è il più abbondante (51,839%).
Dell’argento sono stati individuati 28 isotopi radioattivi, i più stabili di essi sono 105Ag, con un’emivita di 41,29 giorni, 111Ag (7,45 giorni) e 112Ag (3,13 ore). Tutti gli altri hanno tempi di dimezzamento inferiori all’ora e la maggior parte di essi inferiore a 3 minuti. Questo elemento ha anche numerosi metastati, i più stabili dei quali sono 128Ag (emivita: 418 anni), 110Ag (249,79 giorni) e 107Ag (8,28 giorni).
Gli isotopi dell’argento hanno pesi atomici compresi tra i 93,943 amu di 94Ag ai 123,929 amu di 124Ag. La principale modalità di decadimento degli isotopi più leggeri di 107Ag è la cattura elettronica con conversione in palladio, mentre per gli isotopi più pesanti è il decadimento beta con conversione in cadmio.
L’isotopo 107Pd decade con emissione di raggi beta a 107Ag con un’emivita di 6,5 milioni di anni. Le meteoriti di ferro sono gli unici corpi aventi un rapporto palladio/argento sufficientemente alto per poter produrre variazioni misurabili dell’abbondanza di 107Ag. L’argento-107 di fonte radiogenica è stato individuato per la prima volta nel 1978 nella meteorite di Santa Clara, in California.
Gli scopritori hanno suggerito che la coalescenza e la differenziazione dei piccoli pianeti con nucleo di ferro sia avvenuta 10 milioni di anni fa dopo un evento nucleosintetico. La correlazione tra 107Ag e 107Pd osservata in corpi celesti che erano fusi durante l’accrezione del sistema solare riflette la presenza di nuclidi instabili nel sistema solare primordiale.
Per titolo si intende la percentuale minima di argento puro presente nella lega metallica che compone un oggetto. In virtù della bellezza e lucentezza di questo metallo prezioso, sin dai tempi antichi, è stato utilizzato per monete, posate, vasellame, monili e altro. I lingotti d’argento che sono in commercio hanno normalmente titolo 999/1000, la lega è composta cioè del 99,9% d’argento puro. La maggior parte di gioielli e di oggetti per la casa hanno invece titolo 800, 835 e 925. Questi numeri indicano la percentuale minima di argento puro che, combinato con altri metalli, compone l’oggetto. L’argento marchiato o punzonato 925, che in inglese è definito Sterling Silver, indica una composizione garantita di 925 parti minime di argento e 75 massime di qualsiasi altro metallo. In genere la componente in rame è preponderante tra gli altri metalli usati. Per particolari lavorazioni viene usato nella lega anche lo zinco in percentuali massime dello 0,5%. . Il marchio 800 indica una composizione garantita di 800 parti minimo di argento puro e di 200 parti massimo di rame e altri minerali. Il titolo 835 è stato usato per molte monete d’argento, quali le 500 lire con le caravelle coniate dal 1957 dalla Zecca italiana.
Marchi riportati su un manufatto in argento
In ogni paese esiste una disciplina legale sui marchi che devono essere riportati sugli oggetti d’argento a garanzia degli acquirenti. Ad esempio in Inghilterra, già dal 1544 il simbolo dell’argento non è un numero come 800 o 925, ma una figura di leone passante verso sinistra. In Italia vigevano diversi simboli e sistemi a seconda dei periodi e delle dominazioni e solo a seguito dell’unità d’Italia furono soppressi i vari punzoni degli stati preunitari. Con legge del 2 maggio 1872 fu introdotta una punzonatura di garanzia facoltativa, una testa di donna turrita che, se riportava il numero 1 alla base indicava il titolo 950, con il numero 2 il titolo 900, con il numero 3 il titolo 800. Con legge del 5 febbraio 1934 vengono imposti due punzoni. Il primo, ad esempio 800, racchiuso in un ovale, che indicava il titolo, ed un secondo punzone che doveva contenere il numero dell’argentiere e la provincia, separati da un fascio littorio e racchiusi in una losanga tronca. Nel 1944 viene eliminato il fascio littorio mantenendo invariato il sistema del doppio punzone. Ad esempio un oggetto che ha un punzone con un 800 racchiuso in un ovale affiancato da un secondo punzone che, all’interno di una losanga tronca, contiene la dicitura 1 BO ci dice che l’oggetto è d’argento 800 ed è stato fabbricato dall’argentiere di Bologna che aveva ottenuto il numero 1. Se troviamo i punzoni 925 nell’ovale e 79 PA nella losanga tronca significa che il nostro oggetto è d’argento 925 su 1000 ed è stato fabbricato dall’argentiere 79 di Palermo. Con legge del 30 gennaio 1968 c’è una lieve modifica del punzone del produttore che da losanga tronca diventa esagono allungato in cui deve comparire una stella (simbolo della Repubblica) il numero e la provincia dell’argentiere. Per esempio <* 79 PA> indica che l’oggetto è stato fabbricato dopo la legge del 1968 ed il decreto attuativo del 1970. Questa punzonatura è quella tuttora vigente. Con legge 22 maggio 1999 è stato introdotto un nuovo punzone per i casi in cui l’argento sia esterno ed a copertura di altro materiale. Immaginiamo un coltello d’argento. Di solito la lama e l’interno del manico sono di acciaio. Quindi l’argento è limitato ad una lamina esterna al manico. L’interno può anche essere riempito di resina o altro materiale. In questo caso il nuovo punzone, una lettera [R] racchiusa in un quadrato, ci indica che il manico è “riempito” di altro materiale non prezioso. Vicino alla R deve essere indicata la quantità d’argento minima e massima seguita da una g (grammi). Quindi [R] 3-5 g sta ad indicare che l’oggetto “riempito” ha da 3 a 5 grammi d’argento. Nulla vieta di aggiungere loghi o simboli dell’argentiere.
Precauzioni ed effetti sulla salute
Sebbene l’argento abbia, in esperimenti in vitro, mostrato un effetto germicida e battericida, gli effetti dell’argento sulla salute umana possono essere molto deleteri[2].
I composti dell’argento possono essere assorbiti nel sistema circolatorio e depositarsi in diversi tessuti dell’organismo portando all’argiria. Questa malattia si manifesta, inizialmente, con la comparsa sulla pelle di una colorazione grigio-nera permanente dovuta alla formazione superficiale di Ag e di Ag2S; successivamente insorgono bronchiti croniche, danni renali e sclerosi delle arterie. Per ingestione orale, l’intossicazione è rapida e provoca in progressione: vomito, dolori addominali, gastroenterite, collasso e morte. Per esempio, il AgNO3 ha un effetto letale, in un individuo adulto, qualora venga ingerito alla dose di circa 10 g. Lo ione argento interagisce anche con gli acidi nucleici (DNA, RNA) instaurando legami soprattutto a livello delle basi azotate.
L’argento non ha alcun ruolo negli equilibri biologici degli esseri umani. Anche quando l’argento è inalato può provocare seri problemi al corpo umano.
[fonte: Wikipedia]
PLATINO
Il platino è un metallo e l’elemento chimico di numero atomico 78. Il suo simbolo è Pt.
È un metallo di transizione, malleabile, duttile (è il metallo più duttile dopo oro e argento) di colore bianco-grigio. Resiste alla corrosione e si trova sia allo stato nativo che in alcuni minerali di nichel e rame. Il platino è usato in gioielleria, nella realizzazione di attrezzi da laboratorio, contatti elettrici, odontoiatria e dispositivi anti-inquinamento delle automobili, per la realizzazione di catalizzatori per l’industria chimica.
Caratteristiche
Puro, si presenta simile all’argento, è duttile, malleabile e resistente alla corrosione. Come gli altri metalli della sua famiglia, possiede notevoli capacità catalitiche (una miscela di idrogeno e ossigeno gassosi in presenza di spugna di platino esplode). La sua resistenza alla corrosione e all’ossidazione lo rende adatto per produzioni di gioielleria.
Altri suoi tratti distintivi sono la resistenza alla corrosione chimica, buone proprietà reologiche alle alte temperature e proprietà elettriche stabili. Tutte queste proprietà sono state sfruttate per applicazioni industriali. Il platino non si ossida all’aria nemmeno ad alta temperatura, può però venire corroso dai cianuri, dagli alogeni, dallo zolfo e dagli alcali caustici. Non si scioglie nell’acido cloridrico né nell’acido nitrico, ma si scioglie nella loro miscela nota come acqua regia trasformandosi in acido cloroplatinico. I suoi stati di ossidazione più comuni sono +2, +3 e +4.
Per queste caratteristiche peculiari, il platino è considerato uno dei migliori conduttori elettrici ed è utilizzato anche nella produzione di connettori per cavi HDMI
Produzione
Il platino si trova nella sabbia mescolato con l’oro e con altri metalli preziosi, quindi per poterlo ricavare occorre procedere nel seguente modo:
Attraverso una serie di lavaggi si elimina la sabbia e si suddividono i vari metalli.
Il ricavato, chiamato platino minerale, viene attaccato con acido citrico per separarlo dal ferro e dal rame.
La soluzione viene poi filtrata e il residuo solido trattato con acqua regia la quale scioglie il platino l’iridio e il palladio sotto forma di cloruri
Viene poi aggiunto cloruro di ammonio che fa precipitare il platino allo stato di cloroplatino di ammonio
Questa miscela viene poi calcinata ottenendo una massa spugnosa (spugna di platino)
La massa spugnosa viene poi fusa in un crogiolo di cenere (a questo punto si ottiene una lega chiamata platiniridio)
Il platino puro viene ottenuto dopo la trasformazione della lega di platiniridio in una miscela di nitrocomposti complessi solubili, che per precipitazione forma il cloro platinato di ammonio.
Storia
Il suo nome deriva dallo spagnolo platina, diminutivo di plata, argento.
Il platino nativo e le sue leghe naturali sono note da lungo tempo. Il metallo era noto e usato dalle popolazioni precolombiane del Sudamerica e la prima menzione in documenti europei è del 1557, ad opera dell’umanista italiano Giulio Cesare Scaligero (1484-1558) che lo descrive come un misterioso metallo trovato nelle miniere del Darién (Panama) e del Messico “…finora impossibile da fondere secondo i metodi noti agli spagnoli”.
Gli spagnoli chiamarono il metallo platino, piccolo argento, quando lo incontrarono per la prima volta in Colombia. Il platino veniva considerato allora un’impurezza indesiderata dell’argento e spesso veniva gettato via.
La scoperta del platino è attribuita all’astronomo Antonio de Ulloa e a Don Jorge Juan y Santacilia, entrambi incaricati dal re Filippo V di Spagna di unirsi ad una spedizione in Perù che durò dal 1735 al 1745. Tra le altre cose, Ulloa osservò la platina del pinto, un metallo non lavorabile rinvenuto insieme all’oro in Nueva Granada, l’attuale Colombia. I corsari britannici intercettarono la nave di Ulloa durante il ritorno in Europa. Benché egli fosse trattato bene in Inghilterra, dove divenne anche un membro della Royal Society, gli fu impedito di pubblicare notizie riguardo al metallo sconosciuto fino al 1748. Prima che questo succedesse, nel 1741 Charles Wood isolò indipendentemente l’elemento reclamandone la scoperta.
Il simbolo alchemico del platino è ottenuto per unione dei simboli dell’oro e dell’argento.
In tempi relativamente recenti il platino era considerato più prezioso dell’oro. Il suo prezzo è legato all’offerta di mercato ed alla sua disponibilità.
Il modello standard di riferimento per il metro è stato per lungo tempo la distanza tra due tacche su una barra di lega platino-iridio, conservata presso il Bureau International des Poids et Mesures di Sèvres, in Francia. Un cilindro della stessa lega è lo standard di riferimento per il chilogrammo.
Il platino è usato anche per la definizione dell’elettrodo standard a idrogeno.
Disponibilità
Il platino si trova spesso allo stato nativo oppure in lega con l’iridio (platiniridio). I suoi minerali commercialmente più importanti sono la sperrylite (arseniuro di platino, PtAs2) e la cooperite (solfuro di platino, PtS).
Spesso è accompagnato da altri metalli ad esso simili e si trova principalmente nei depositi alluvionali dei fiumi della Colombia, dell’Ontario, dei monti Urali ed in alcuni degli Stati Uniti occidentali.
Industrialmente, il platino è un sottoprodotto della lavorazione dei minerali di nichel. Benché il tenore di platino sia mediamente di due parti per milione, le grandi quantità di minerale lavorato rendono l’estrazione del platino conveniente.
Tabella disponibilità di Platino
Isotopi
Il platino in natura è una miscela di cinque isotopi stabili e di uno radioattivo, 190Pt, la cui emivita è lunghissima, circa 650 miliardi di anni. Si tratta di uno degli isotopi che avendo emivita confrontabile o superiore a un miliardo di anni (il sistema solare risale a 4 miliardi di anni fa) sono ancora presenti, con relativa abbondanza, sulla crosta terrestre.
Il platino ha anche isotopi radioattivi, di cui il più stabile è 193Pt, con un’emivita di 7 anni.
Precauzioni
Il platino metallico non è generalmente causa di problemi, data la sua inerzia chimica. I suoi composti sono tuttavia da considerarsi altamente tossici.
I composti del platino sono piuttosto rari in natura.
Alcuni composti del platino, ad es. il cisplatino, sono ampiamente utilizzati come farmaci anti-tumorali.
[fonte: Wikipedia]
DIAMANTE
Il diamante è una delle tante forme allotropiche in cui può presentarsi il carbonio; in particolare, il diamante è costituito da un reticolo cristallino di atomi di carbonio disposti secondo una struttura ottaedrica.
Cenni storici
Si pensa che i diamanti siano stati inizialmente riconosciuti ed estratti in India, dove furono trovati in depositi alluvionali lungo i fiumi Krishna e Godavari. I diamanti erano utilizzati nelle icone religiose, ed è probabile che fossero noti e considerati preziosi già 6.000 anni fa.[1] Si trovano infatti riferimenti ai diamanti nei testi in sanscrito: l’Arthashastra di Kautilya ne menziona il commercio,[2] opere buddiste, dal IV secolo a.C. in poi descrivono il diamante come pietra molto nota e preziosa, anche se non contengono indicazioni circa le tecniche di taglio.[3]
Un altro testo indiano, scritto all’inizio del III secolo descrive la resistenza, la regolarità, la brillantezza, la capacità di graffiare i metalli e le buone proprietà di rifrazione come qualità desiderabili di un diamante[4].
La città indiana di Golconda fu per secoli (fino alla metà dell’Ottocento) il principale centro di produzione e vendita dei diamanti, tanto che il suo nome fu sinonimo di ricchezza.
I diamanti giunsero nella Roma antica dall’India e vi sono chiari riferimenti circa il loro utilizzo come strumenti d’incisione.
I cinesi, che non hanno trovato diamanti nel loro paese, non li consideravano in passato come gioielli, mentre apprezzavano molto la giada. Un’opera cinese del III secolo a.C. cita: «Gli stranieri li indossano [i diamanti] nella convinzione che essi possano allontanare da loro gli influssi maligni».[4]
Fino al XVIII secolo i diamanti provenivano esclusivamente dall’India o dal Borneo e solo nel 1725 in Brasile, nello Stato di Minas Gerais, furono trovati i primi diamanti provenienti dal Sudamerica. Successivamente, nel 1843, fu rinvenuto il carbonado, un aggregato microcristallino di diamante, di colore bruno-nero, impiegato nell’industria.
Il primo ritrovamento in Sudafrica avvenne nel 1867, nei pressi delle sorgenti del fiume Orange, e fino al 1871 vennero sfruttati unicamente i giacimenti di tipo alluvionale. In seguito si scoprì l’esistenza dei camini diamantiferi, dei quali il più noto è la miniera di Kimberley, che ha dato il nome alla roccia madre del diamante, la kimberlite.
Nel Settecento sono stati scoperti giacimenti nel Borneo, ciò che diede inizio al commercio del diamante nel sud-est asiatico. Con l’esaurimento delle risorse indiane, avvengono significative scoperte in Brasile (1725) e Sudafrica (Kimberley, 1867).[7] Il Sud Africa divenne quindi il principale centro mondiale per la produzione di questa preziosissima gemma.[7]
La popolarità dei diamanti è aumentata a partire dal XIX secolo grazie alla maggiore offerta, al miglioramento delle tecniche di taglio e lucidatura, alla crescita dell’economia mondiale e anche grazie ad innovative campagne pubblicitarie di successo.[8] Nel 1813, Humphry Davy usò una lente per concentrare i raggi del sole su un diamante in un ambiente di ossigeno e dimostrò che l’unico prodotto della combustione era il biossido di carbonio, provando così che il diamante è un composto di carbonio. In seguito egli dimostrò che alla temperatura di circa 1.000 °C, in un ambiente privo di ossigeno, il diamante si converte in grafite.[9]
Origine e datazione
I diamanti hanno origine nel mantello della Terra, dove esistono le condizioni di altissima pressione necessarie alla loro formazione. Si pensa che i diamanti ritrovati in superficie provengano da una profondità tra i 150 e i 225 km.[10] I cristalli vengono portati alla superficie, inglobati in una roccia contenente molta olivina (detta kimberlite) da condotti vulcanici mediante eruzione. Questo dà origine ai camini diamantiferi dei giacimenti primari. In seguito, mediante erosione, la kimberlite può venire sgretolata, liberando i diamanti in giacimenti secondari, generalmente di tipo alluvionale.[11]
Diamanti molto piccoli (tipicamente di diametro inferiore a 0,3 mm) sono stati trovati in molte meteoriti cadute sulla Terra. Alcuni studiosi ritengono che impatti di grandi meteoriti, avvenuti milioni di anni fa, possano aver prodotto alcuni (o molti) dei diamanti oggi ritrovati, ma non ci sono prove che avvalorino questa ipotesi.[12]
Il metodo del carbonio-14 non è efficace per la datazione del diamante, perché si limita al carbonio di origine biologica. Risultano inefficaci a tal fine, sempre a causa della purezza chimica del diamante, anche le tecniche di geocronologia. I geologi ritengono però che la maggior parte dei diamanti ritrovati, cioè quelli formati nel mantello e arrivati in superficie, si siano formati tra circa 1 e 1,6 miliardi di anni fa.
Struttura cristallina
I diamanti sono la modificazione cristallizzata del carbonio puro; essendosi formati, come il petrolio, in milioni di anni sono pertanto un minerale esauribile. I cristalli del diamante possono avere la forma di un ottaedro o di un esacisottaedro, talvolta con le facce curve. Talora, sulle facce dell’ottaedro, si possono notare delle trigoni, ossia delle incisioni triangolari. Alcune gemmazioni possono portare a cristalli piatti a forma di triangolo smussato.[11] Altre forme in cui si presenta sono i rombododecaedri ed i cubi; tuttavia meno rari, comunque, sono i cristalli esacisottaedrici, cubici e dodecaedrici. Non mancano inoltre cristalli geminati o a simmetria tetraedrica.
Forme in cui si presenta in natura
Il colore è vario, così come le dimensioni dei cristalli, che molto raramente superano quelle di una nocciola. Il record di grandezza per un diamante grezzo spetta al diamante diamante Cullinan, trovato nel 1905 nella Premier Mine del Sudafrica. Perfetto nella limpidezza e nel colore, pesava 3.025 carati (605 grammi); tagliato in 105 pietre lavorate, le più grandi pesano 516,5 e 309 carati (fino al 1988 i più grandi diamanti lavorati). Attualmente il più grande diamante lavorato è il Golden Jubilee di 545,67 carati, trovato nel 1985 in Sudafrica.
Estrazione
I giacimenti diamantiferi si suddividono in due gruppi: primari e secondari. I giacimenti primari sono quelli in cui i diamanti si trovano ancora all’interno della roccia madre (tipicamente, la kimberlite), mentre i secondari sono quelli in cui essi si trovano dispersi in rocce sedimentarie spesso incoerenti tipo sabbia, ghiaia, trasportati lontano dai luoghi dove si trovava la roccia madre e da cui derivano per disgregazione della stessa, ossia in terreni alluvionali.
Nel caso dei giacimenti primari si deve frantumare la roccia estratta in pezzi sempre più piccoli, alternando le spaccature a lavaggi abbondanti in modo che l’acqua separi la ganga dai materiali più pesanti; il peso specifico relativamente elevato dei diamanti provoca la loro caduta nelle vasche sottostanti (eventualmente mischiati ad altri minerali pesanti).
La maggior parte delle miniere di diamanti è “a cielo aperto” o “a pozzo” (diversamente dalle miniere di carbone, in cui l’estrazione avviene spesso in gallerie scavate in profondità). Tra le più famose miniere diamantifere quelle di Kimberley e la Premier Mine, entrambe in Sudafrica. Le miniere nei dintorni di Golconda in India hanno fornito fino alla metà dell’Ottocento la quasi totalità dei diamanti prodotti nel mondo.
Nei giacimenti alluvionali, non dovendo sminuzzare la roccia, il procedimento è più semplice: si usa solo il procedimento gravitazionale con l’acqua, facendo cadere i diamanti nelle vasche. In seguito i diamanti e i residui di ganga vengono portati via da rulli cosparsi di grasso, al quale i diamanti e la ganga aderiscono. La ganga viene poi fatta scivolare via mediante altri lavaggi. Successivamente, per togliere i diamanti dal grasso, si porta a fusione l’intero impasto; il grasso si scioglie, liberando così i diamanti grezzi. Essi vengono poi suddivisi in due gruppi: di qualità superiore cioè gemmologica (adatti ad essere tagliati e lucidati per produrre gioielli) e di qualità inferiore, adatti per applicazioni industriali.
Si calcola che le miniere primarie producano mediamente un carato di diamanti (0,2 grammi) ogni 3,5 – 4 tonnellate di roccia estratta, mentre dai giacimenti alluvionali si estrae solo un carato ogni circa 15 tonnellate di materiale lavorato.[15]
Paesi produttori
La produzione mondiale di diamante naturale varia notevolmente di anno in anno, perché i filoni diamantiferi vengono spesso esauriti rapidamente, e l’estrazione prosegue in nuove miniere scoperte, che possono dare produzioni molto diverse. Nel 2010 la produzione mondiale di diamanti naturali è stata di circa 224 milioni di carati (pari a circa 44.800 kg).
Il valore dei diamanti grezzi varia enormemente a seconda che siano di qualità gemmologica o industriale. Nel 2010 i maggiori paesi produttori di diamanti di qualità gemmologica sono stati i seguenti: Botswana 25.000 migliaia di carati, Russia 17.800, Angola 12.500, Canada 11.770, Congo (Kinshasa) 5.500. Anche il Brasile ne produce notevoli quantità. Il Sudafrica è stato in passato uno dei maggiori produttori, ma negli ultimi anni la produzione è quasi esclusivamente di diamanti di qualità industriale. L’Australia fino al 2006 ha prodotto notevoli quantità di diamanti gemmologici, ma in seguito all’esaurimento dei filoni non è attualmente tra i primi dieci paesi produttori. Fino alla fine del XIX secolo quasi tutti i diamanti erano estratti in India, ma in seguito le miniere si esaurirono progressivamente. L’estrazione di diamanti in India avviene oggi quasi esclusivamente nel Distretto di Panna, nello Stato del Madhya Pradesh.
Per quanto riguarda i diamanti di qualità industriale i maggiori paesi produttori sono stati nel 2010 i seguenti: Congo (Kinshasa) 22.200 migliaia di carati, Russia 15.000, Australia 9.900, Botswana 7.000, Sudafrica 5.400.[16]
Complessivamente, circa la metà dei diamanti estratti oggi nel mondo proviene da miniere situate nell’Africa centrale e meridionale. La società sudafricana DeBeers, con sede a Johannesburg, controlla quasi completamente l’estrazione, la lavorazione e commercializzazione dei diamanti di origine africana. Tra le maggiori società al mondo per l’estrazione dei diamanti vi è anche l’anglo-australiana BHP Billiton.
Proprietà chimico-fisiche
Modello della struttura cristallina del diamante
Il diamante è un cristallo trasparente composto da atomi di carbonio a struttura tetraedrica. È la forma termodinamicamente instabile del carbonio che, in teoria per la seconda legge della termodinamica, dovrebbe trasformarsi interamente in grafite. Ciò non avviene perché c’è bisogno di una traslazione degli atomi di carbonio che, essendo legati gli uni agli altri in una struttura a tetraedro, è impedita cineticamente. Quindi il diamante è instabile dal punto di vista termodinamico ma stabile dal punto di vista cinetico. In altre parole, è un materiale metastabile.[17]
I diamanti hanno moltissime applicazioni, grazie alle loro eccezionali caratteristiche fisiche e chimiche. Le più rilevanti sono l’estrema durezza, l’elevato indice di dispersione ottica, l’altissima conducibilità termica, la grande resistenza agli agenti chimici e il bassissimo coefficiente di dilatazione termica, paragonabile a quello dell’invar.
I diamanti sono altamente idrorepellenti: l’acqua non aderisce alla loro superficie, formando gocce che scivolano via facilmente. Un diamante immerso in acqua e poi estratto risulterà perfettamente asciutto. Al contrario i grassi, tra cui ogni tipo di olio, aderiscono molto bene alla loro superficie, senza peraltro intaccarli.
La resistenza agli agenti chimici è molto elevata: i diamanti non sono intaccabili dalla maggior parte degli acidi e delle basi, anche in concentrazioni elevate.
Durezza
Il diamante è il minerale di origine naturale più duro che si conosca, la sua durezza Mohs è pari a 10, ed è fino a 140 volte superiore a quella del corindone, con durezza 9 nella scala di Mohs. Tale estrema durezza è dovuta alla presenza di legami covalenti estesi a tutta la struttura e in tutte le direzioni, che collegano qualunque coppia di atomi adiacenti. Ciò spiega l’eccezionale coesione e stabilità di questa struttura e di altre con simili caratteristiche, come ad esempio il nitruro di boro.
Negli ultimi anni sono stati prodotti sinteticamente alcuni materiali superduri in grado di scalfire il diamante, tra cui la lonsdaleite superdura e l’ADNR (Aggregated Diamond Nanorods), una forma allotropica del carbonio prodotta per la prima volta nel 2005 dai ricercatori dell’università tedesca di Bayreuth Natalia Dubrovinskaia, Leonid Dubrovinsky e Falko Langenhorst.[18]
Non tutti i diamanti hanno la stessa durezza. I diamanti più duri provengono dall’area del New England nel Nuovo Galles del Sud (Australia). Questi diamanti sono in genere piccoli, di forma ottaedrica perfetta o semiperfetta, e sono utilizzati per lucidare altri diamanti. La loro durezza è considerata il risultato della modalità di accrescimento del cristallo, che è avvenuta in un’unica fase.
La maggior parte degli altri diamanti evidenzia invece un accrescimento del cristallo in fasi successive, con inclusione di impurezze e la formazione di difetti nel reticolo cristallino e conseguente diminuzione delle caratteristiche di durezza.
Conducibilità
Esistono o sono allo studio altre applicazioni specialistiche, compreso l’uso come semiconduttore: alcuni diamanti blu sono semiconduttori naturali, a differenza degli altri diamanti che invece sono eccellenti isolanti elettrici. Il diamante esposto all’aria mostra in alcune condizioni un comportamento da conduttore sulla sua superficie. Il fenomeno venne scoperto da Maurice Landstrass e K. V. Ravi nel 1989. Nel dicembre 2007 un laboratorio del Case Western Reserve University di Cleveland ha dimostrato che la conducibilità avviene per mezzo di un film acquoso sottile deposto sulla superficie del diamante. Il film d’acqua scambia coppie di elettroni con la superficie rendendola conduttrice.[19] Il diamante si dimostra un ottimo conduttore termico ma ad alta temperatura tende a decomporsi in semplice carbonio.
Tenacità
La tenacità rappresenta la capacità di un materiale di assorbire energia in campo plastico, cioè di subire degli urti senza fratturarsi. La tenacità media del diamante naturale è stata misurata in 3,4 MN m-3/2, ma varia notevolmente in funzione della caratura (cioè del peso e quindi della grandezza) e della presenza di imperfezioni interne. Questo valore è buono e maggiore di tutte le altre gemme, ma inferiore a molti altri materiali.[20]
Come per ogni cristallo, la capacità di resistere agli urti varia grandemente a seconda del piano in cui è diretta la forza incidente. Un forte colpo di martello può comunque rompere facilmente un diamante, e anche urti accidentali possono danneggiarlo.
Resistenza al calore
La resistenza al calore e al fuoco è molto elevata, ma dipende dalle dimensioni. Un comune diamante commerciale resiste alla fiamma viva in atmosfera fino a circa 1.520 °C; negli incendi la temperatura può raggiungere i 1.000 °C, ma non supera generalmente i 1.200 °C, per cui un diamante rimane inalterato[22]. Viceversa una polvere fine di diamante è facilmente infiammabile a contatto di fiamma, bruciando senza lasciare residui e trasformandosi completamente in CO2.
In assenza di fiamma il diamante brucia in atmosfera, con una debole fiamma azzurra, alla elevatissima temperatura di circa 3.550 °C. In atmosfera di ossigeno brucia a circa 800 °C. Nel vuoto o in atmosfera inerte il diamante si trasforma in grafite per temperature superiori a 1.900 K (circa 1.600 °C).
Applicazioni industriali
I diamanti adatti per uso industriale sono quelli non idonei ad essere utilizzati come gemme oppure quelli prodotti sinteticamente, in quanto il loro costo ridotto li rende economicamente convenienti per questo uso.
L’uso industriale del diamante è legato alle sue caratteristiche di durezza; questa proprietà lo rende il materiale ideale per strumenti di taglio e molatura. Essendo uno dei materiali più duri e abrasivi che si conoscano, il diamante può essere usato per lucidare e tagliare qualsiasi materiale, compresi altri diamanti.
Alcuni esempi di applicazioni in ambito industriale sono la fabbricazione di punte da trapano, seghe con inserti in diamante e polvere abrasiva nelle smerigliatrici. Viene usato anche per il taglio e la lucidatura di pietre, vetro, marmo e granito.[23].
In campo quotidiano questo cristallo è usato ad esempio nei coltelli di ceramica ricoperti da una fine polvere di diamante (usati in vere e proprie cucine di ristoranti) garantendo così la facilità al taglio di vari cibi.
In campo tecnologico questi cristalli sono usati nelle presse in diamante ed in molti strumenti ottici o di elettronica; l’estrema durezza unita alla trasparenza permette l’osservazione e lo studio delle modificazioni della materia, sottoposta a pressioni vicine a 2 milioni di atmosfere. In casi particolari, la superficie di lenti ottiche viene protetta dall’abrasione con un sottilissimo film di diamante, applicato per mezzo di deposizione chimica.
Grazie alla sua elevatissima conducibilità termica (fra 1.000 e 2.600 W·m−1·K−1, ben superiore a quella dell’argento o del rame), nella fabbricazione di semiconduttori di elevata potenza si usano talvolta sottilissimi strati di diamante come “basamento” del semiconduttore, rendendolo in grado di trasferire agevolmente il calore al contenitore.
I diamanti in gioielleria
Un diamante a taglio brillante rotondo, incastonato in un anello.
Grazie alla sua durezza, il diamante può essere graffiato soltanto da altri diamanti ed è in grado di conservare la lucidatura per lunghi periodi di tempo: è quindi adatto ad essere indossato quotidianamente resistendo molto bene all’usura, e di conseguenza è ampiamente usato in gioielleria.
Taglio
Il taglio dei diamanti grezzi per trasformarli in gemme da gioielleria è un’operazione molto delicata e difficile. Eventuali errori porterebbero alla perdita di notevoli somme di denaro. La forma più comune di taglio del diamante è quella rotonda, denominata a brillante. Con questo termine si identifica un taglio rotondo con minimo 57 faccette, a cui si aggiunge una tavola inferiore (non sempre esistente).
La grande diffusione di questo taglio ha portato ad un equivoco: il pubblico tende ad identificare i termini brillante e diamante come fossero la stessa cosa. In realtà, il termine brillante, se usato da solo, identifica unicamente una pietra preziosa a taglio rotondo. Esistono moltissime altre pietre preziose che possono essere tagliate a brillante, quali ad esempio i rubini, gli zaffiri e i topazi.
Altri tipi di taglio, tra i più conosciuti e diffusi sono: il taglio a cuore, a brillante ovale, a marquise o navette, huit-huit, a goccia, a smeraldo, a carré, a baguette, a trapezio, a rosa olandese, a rosetta (ormai in disuso).[24] Da ricordare altri tagli più recenti che si stanno piano piano affermando nel campo della gioielleria: il princess, il radiant e il barion.
Il maggiore centro per il taglio dei diamanti è stato per molto tempo la città di Anversa in Belgio, dove lavorano ancora, nel Diamantkwartier (quartiere dei diamanti), oltre 12.000 tecnici e impiegati tra tagliatori, lucidatori e addetti alla commercializzazione. Recentemente si è però imposta a livello mondiale, per il taglio, la città indiana di Surat. Si valuta che attualmente oltre l’80% dei diamanti (specie quelli di piccola caratura) sia tagliato in questa città[25]. Altri centri importanti sono Tel Aviv e New York. Alcune società, in particolare la De Beers, hanno propri centri di taglio, ma si affidano spesso a tagliatori esterni particolarmente esperti per il taglio di diamanti di altissimo valore.
Alcuni tagli di diamante
Le quattro C
I quattro fattori che determinano il valore del diamante sono le quattro “C”, dalle iniziali dei quattro termini in inglese ossia: colour (colore), clarity (purezza), cut (taglio) e carat (caratura, cioè peso).[26]
Colore. Le gemme del tutto incolori e trasparenti, che sono le più pure, vengono definite “Colorless”, seguono le quasi incolori o “Near Colorless” e le colorate o “Slighty Tinted”. Alcuni stati o regioni europee o città o enti (Anversa, New York, Svizzera, Scandinavia e Francia) hanno adottato varie sotto-nomenclature per le tre classi di colori su descritte.[26][27] I diamanti possono assumere quasi tutte le colorazioni, che sono dovute ad impurezze o difetti strutturali: il giallo ambrato e il marrone sono le più comuni, il rosso, il rosa e il blu sono le più rare.[28]. È da rilevare che i diamanti incolori non appaiono tali alla vista, in quanto le sfaccettature riflettono i colori dell’ambiente circostante; come per altre gemme incolori, muovendole i colori cambiano rapidamente (questo effetto, molto intenso nei diamanti, è detto “brio” o “fuoco”).
I diamanti “neri” non sono veramente tali, ma piuttosto contengono numerose inclusioni che gli danno il loro aspetto scuro.
Quando il colore è abbastanza saturo la pietra può essere definita dal gemmologo diamante di colore fancy (in italiano può essere tradotto fantasia o alla moda), altrimenti vengono classificati per colore con la normale scala di colore degli altri diamanti. La maggior parte delle impurezze nei diamanti rimpiazza un atomo di carbonio nel sistema cristallino, e viene detta “impurezza sostituzionale”.
L’impurezza più comune, l’azoto, causa una colorazione gialla più o meno intensa a seconda della concentrazione di azoto presente.[28] Il Gemological Institute of America (GIA) classifica i diamanti di colore giallo a bassa saturazione e marrone come diamanti nella scala normale del colore, e applica una scala di valutazione dalla ‘D'(incolore di purezza eccezionale) alla ‘Z’ (giallo chiaro). Il GIA classifica i diamanti che hanno colorazione intensa con il termine fancy (che può essere tradotto con alla moda).
La colorazione più rara è quella dei diamanti rossi o rosa (che non raggiungono mai dimensioni notevoli), seguiti da quelli blu. I diamanti verdi sono estremamente rari.
Purezza. Le inclusioni vengono generalmente chiamate “carboni”, tuttavia sono considerati difetti le fessure naturali (o “ghiacciature”), le tracce di incipiente sfaldatura e le “linee di accrescimento” della gemma originaria. Se un gemmologo trovasse una di queste ultime inclusioni potrà definire la pietra come IF (Internally Flawless) invece che F (Flawless) (vedi tabella sotto).
Taglio. Prima del taglio, il gemmologo dovrà tenere conto della forma di taglio, le proporzioni del taglio, la simmetria ed i difetti di lucidatura. I brillanti inferiori ad un carato sono stati suddivisi in tre categorie: “very good” (brillantezza eccezionale o con irrilevanti difetti); “good” (brillantezza leggermente inferiore con alcuni elementi più visibili); “poor” (scadente, con difetti più grandi e/o numerosi).[26]
Peso. I diamanti si pesano in carati. Un carato equivale esattamente a 0,2 grammi. Il carato può essere suddiviso in grani che equivalgono a 1/20 di grammo, ed in punti che equivalgono ad 1/100 di carato.[26]
Scala della purezza
Il Gemological Institute of America ha definito una scala della purezza delle gemme, e quindi anche dei diamanti, largamente usata a livello internazionale.[29]
Tabella della purezza dei diamanti
Diamanti celebri
Tra i diamanti più famosi vi sono:
il diamante azzurro Hope, del peso di 45 carati, conservato presso lo Smithsonian Institution di Washington
il verde di Dresda, del peso di 41 carati, conservato nel Grünes Gewölbe di Dresda
il Régent, del peso di 135 carati, e il Sancy, del peso di 55 carati, già appartenuti al re Luigi XVI di Francia ed ora al museo del Louvre
il Koh-i-Noor, del peso di 108 carati, posto ora nella Torre di Londra
il Cullinan, del peso (grezzo) di 621 grammi, proveniente dalle miniere del Sudafrica; da esso è stato ricavato il diamante Stella d’Africa, del peso di 530 carati.
Sintesi del diamante
Un diamante artificiale prodotto tramite “Chemical Vapor Deposition”
La sintesi in laboratorio di diamanti a partire da materiali costituiti da carbonio iniziò nella prima metà degli anni cinquanta quando ricercatori della General Electric di Schenectady, New York, riuscirono a ricreare le condizioni necessarie alla cristallizzazione del carbonio che portano alla formazione del diamante. Essi riscaldarono grafite a una temperatura di 15.157,5 K assieme a un metallo quale il ferro o il nichel, a una pressione compresa fra le 50.000 e le 65.000 atm. Il carbonio in questo modo si scioglie nel metallo e, grazie alla pressione, crea i legami necessari. Le prime applicazioni pratiche del diamante sintetico sono state il rivestimento di utensili per tagli di precisione e la produzione di abrasivi.
[fonte: Wikipedia]
PALLADIO
Il palladio è l’elemento chimico di numero atomico 46. Il suo simbolo è Pd.
È un metallo raro, di aspetto bianco-argenteo, del gruppo del platino a cui somiglia anche chimicamente: viene estratto principalmente da alcuni minerali di rame e nichel. I suoi usi più comuni sono nell’industria, come catalizzatore, e in gioielleria.
Caratteristiche
Il palladio non si ossida all’aria ed è l’elemento meno denso e con il punto di fusione più basso di tutto il gruppo del platino. È tenero e duttile dopo ricottura, ma aumenta molto la sua resistenza e durezza se viene lavorato a freddo (incrudito). È immune all’effetto dell’acido cloridrico ma viene attaccato dall’acqua regia.
Questo metallo è inoltre estremamente permeabile all’idrogeno: può assorbire fino a 900 volte il suo volume in idrogeno a temperatura ambiente. Si pensa che questo possa accadere grazie al formarsi di idruro di palladio (PdH2), ma non è chiaro se tale composto si formi realmente o sia solo un’associazione temporanea. Gli stati di ossidazione più comuni del Palladio sono 0, +2, +3 e +4. Di recente sono stati sintetizzati composti del Palladio in cui tale elemento assume stato di ossidazione +6[senza fonte].
Applicazioni
Finemente disperso su supporto, il palladio è un ottimo catalizzatore, usato per accelerare reazioni di idrogenazione e deidrogenazione, come nell’industria del petrolio. Altri usi:
L’oro bianco è una lega d’oro e palladio, quest’ultimo è aggiunto per decolorare l’oro;
Come l’oro il palladio può essere ridotto in foglia, con spessori fino a 0,1 micron;
L’idrogeno (e solo esso, a causa della piccola dimensione) diffonde facilmente attraverso una membrana di palladio: per questo motivo si usa per purificare questo gas.
I sistemi di commutazione per le telecomunicazioni usano palladio;
È usato anche in odontoiatria, come componente di alcune leghe nobili utilizzate per la realizzazione di corone e ponti, e in orologeria;
nell’industria dell’abbigliamento è usato per placcare accessori metallici per calzoleria, per borse e per cinture;
nelle candele per i motori a scoppio aeronautici;
per strumenti chirurgici e contatti elettrici;
alcuni suoi sali sono utilizzati nella fotografia;
come catalizzatore per il post-trattamento di gas di scarico di motori a combustione interna;
come catalizzatore in sintesi organica in reazioni di accoppiamento come le reazioni di Heck, Suzuki, Negishi, Stille o di Buchwald-Hartwig.
come elettro-catalizzatore in celle a combustibile alcaline per l’elettro-ossidazione degli alcooli.
come uno degli elementi per la creazione di un vetro ad alto livello di resistenza.[1]
Costruzione di armature militari ad alta tecnologia (insieme al coltan e varie leghe)
Storia
Il palladio fu scoperto da William Hyde Wollaston nel 1803 contemporaneamente al rodio. Lo battezzò così in onore dell’asteroide Pallade, scoperto due anni prima.
Wollaston trovò il 46º elemento in un minerale grezzo di platino proveniente dal Sudamerica: dissolse il minerale in acqua regia, neutralizzò poi la soluzione con idrossido di sodio e la trattò con cloruro d’ammonio facendo precipitare il platino sotto forma di cloroplatinato d’ammonio. Aggiungendo poi cianuro di mercurio al liquido rimanente formò cianuro di palladio, che riscaldò per eliminare il cianuro e ottenere palladio metallico.
Il cloruro di palladio veniva prescritto in passato come cura per la tubercolosi in dosi di 0,065 grammi al giorno (circa 1 mg per kg di peso corporeo). Questo trattamento non aveva grossi effetti collaterali ma venne sostituito più tardi da farmaci più efficaci.
L’elemento palladio ha giocato un ruolo essenziale nell’esperimento di Martin Fleischmann e Stanley Pons, noto anche come fusione fredda.
Reperibilità
Il palladio si trova come metallo libero o in lega con platino, oro e altri metalli del gruppo del platino, in depositi alluvionali negli Urali, in Australia, Etiopia, Nord e Sudamerica; tuttavia la sua produzione commerciale viene per la maggior parte da depositi di rame-nichel in Sudafrica e nell’Ontario: anche se la sua concentrazione in quei minerali è molto bassa, il grande volume processato rende conveniente l’estrazione.
Isotopi
In natura il palladio è presente in sei isotopi stabili. Tra gli isotopi sintetici il più stabile è il 107Pd con un tempo di dimezzamento di 6,5 milioni di anni, mentre il 103Pd ha un tempo di dimezzamento di 17 giorni e il 100Pd ha un tempo di dimezzamento di 3,63 giorni. Sono stati osservati o creati altri diciotto radioisotopi con pesi atomici variabili da 92.936 u (93Pd) a 119.924 u (120Pd). La maggior parte di questi ha tempi di dimezzamento minori di mezz’ora a parte il 101Pd (tempo di dimezzamento: 8,47 ore), il 109Pd (tempo di dimezzamento: 13,7 ore), e il 112Pd (tempo di dimezzamento: 21 ore).
Il tipo di decadimento principale prima dell’isotopo stabile più abbondante, il 106Pd, è per cattura K seguita da decadimento beta. Il principale prodotto di decadimento prima del 106Pd è il rodio e subito dopo l’argento.
L’isotopo radioattivo 107Ag è un prodotto di decadimento del 107Pd e fu scoperto nel meteorite di Santa Clara in California, nel 1978. Gli scopritori ipotizzarono che la coalescenza e la differenziazione dei piccoli pianeti con nucleo di ferro poteva essere avvenuta una decina di milioni di anni dopo un evento di nucleosintesi. Le correlazioni fra Pd-107 e argento osservati in corpi celesti che sono chiaramente stati fusi dall’accrescimento del sistema solare riflette probabilmente l’esistenza di radionuclidi a breve vita nei primi tempi del sistema solare.
Curiosità
Nella cinematografia recente, il palladio è l’elemento utilizzato da Tony Stark nel film Iron Man (2008) come elettromagnete per tenere lontani dei frammenti metallici dal cuore e come fonte energetica per alimentare il reattore Arc, ossia il motore della tuta meccanica che crea e indossa il protagonista del film. Però col passare del tempo (come si può vedere nel film Iron Man 2), il palladio avvelenerà lo stesso Tony Stark il quale dovrà trovare un elemento che lo possa sostituire.
[fonte: Wikipedia]